di Attilio Lauria
Sebbene tra digitale, Instagram e profezie varie ed eventuali* sia continuamente data per spacciata, a giudicare da lavori come questo “Deep Night“ di Vinicio Drappo sembra invece che la fotografia sia tutt’altro che defunta, riuscendo persino a destabilizzarci.
Realizzato in uno dei luoghi più controversi della contemporaneità, quella discoteca considerata un “non luogo”, ma al tempo stesso ambito di una possibile socialità, il portfolio di Drappo si impone con una forza espressiva che con Bergson e Deleuze** potremmo definire addirittura violenta: immagini dai tagli esasperati, cariche di tensione ed energia, che ci interrogano nel profondo delle nostre pulsioni più viscerali, scuotendoci dal torpore degli stereotipi visuali confezionati in bella forma.
E se ciascuno nel confronto maturerà la propria riflessione, in un percorso più oggettivo di conferimento di senso ci si accorge di come tutto, nell’articolazione linguistica di queste immagini, appaia estremo, dal rifiuto della facile spettacolarizzazione del colore, che si trasforma in un B/N dai forti contrasti, all’uso diretto del flash senza alcun ammorbidimento.
Emerge così la metafora di una sorta di genius loci che finisce per plasmare comportamenti, ritualità e simbologie: “Deep Night” non è infatti un portfolio sul popolo delle discoteche come potrebbe sembrare a prima vista, bensì sulla discoteca intesa come luogo di sospensione della routine quotidiana, dove ciascuno può essere per qualche ora l’interprete di quel se stesso che “se ne frega di tutto, si!”***.
Muovendosi tra l’afrore dei corpi con l’istinto di un Weegee delle notti da (s)ballo, Drappo suggerisce già dalla ripresa iniziale dall’alto l’accostamento con l’immagine dantesca di un luogo dal fascino dannato, dal cui buio emergono, nella sequenza stroboscopica delle immagini, lampi di vizi capitali.
Volti e gesti sorpresi in un parossismo tribale enfatizzato dalla ripresa ravvicinata che non raccontano una storia, ma si ripetono, uguali, ad ogni fine settimana.
Ed è appunto questa la storia.
* "Avviene per le stelle che, prima di collassare definitivamente, possano improvvisamente esplodere in un lampo abbagliante, così anche la fotografia al temine della propria parabola sta avendo un sussulto di energia che richiama su di essa un'attenzione del tutto nuova. Ma è una legge generale che le cose, quando stanno per scomparire, acquistino una particolare visibilità" . Franco Vaccari, scritto nel 1992 e pubblicato in "Fotografia e inconscio tecnologico", Agorà 1994.
** Il riferimento è al concetto di "immagine-affezione", G.Deleuze, "Cosa può un corpo? lezione su Spinoza", Ombre corte, 2010.
*** Dal testo di "Vita spericolata", Vasco Rossi.
[2007_2013]